di Ilaria Gelichi
1. Monica parlaci della tua compagnia teatrale
Attualmente dirigo la compagnia teatrale “The Brads” a Prato
Si tratta della terza compagnia che ricreo. Con quella precedente abbiamo avuto
molto successo e la possibilità di girare il mondo, poi i componenti hanno
preso strade diverse e la compagnia si è sciolta. Adesso sto ricostruendo una
nuova compagnia. I primi aderenti sono un pittore, un musicista jazz ed una
ragazza che fa danza e che ama lavorare con i bambini. Io prediligo costruire
compagnie con attori non professionisti e mi piace molto l’idea di collaborare
con persone diverse che hanno lo stesso obiettivo, cioè fare teatro. Io praticamente
sono nata attrice: ho iniziato a 9 anni (adesso ne ho 50) ed è l’unica cosa che
mi è sempre piaciuto fare.
2. Secondo te, come mai è così difficile trovare fondi
per fare teatro?
E’ facile per i “grandi nomi”, i grandi teatri “pubblici”
trovano finanziamenti. Ma per i privati non ci sono investimenti.
3. C’è una crisi di contenuti nel teatro?
Non penso, anzi direi che forse ci sono troppi contenuti.
C’è troppa gente che vuole fare teatro e si improvvisa attore. Per fare teatro
bisogna essere portati, non si può dire di sì a tutti. Ci vuole talento,
passione ma anche spirito di sacrificio; se non si hanno queste tre qualità,
secondo me è meglio dedicarsi ad altro. Sento il bisogno di vedere in giro meno
dilettanti e più grandi maestri…
4. Chi sono stati i tuoi grandi maestri?
Sicuramente il regista Massimo Castri e Carmelo Bene, con
cui ho avuto la fortuna di poter lavorare. Ma anche il regista Giancarlo
Cobelli. La scuola vera però è stata poter incontrare e lavorare con tante
persone diverse.
5. Puoi raccontarci qualcosa della tua esperienza in
Russia?
Ho frequentato l’Accademia di arte drammatica russa ed ho
avuto l’onore di lavorare con Nikolaj Karpov. All’epoca avevo il vizio di atteggiarmi
a diva e lui per insegnarmi l’umiltà mi fece stare per 3 mesi seduta solo a
guardare. Quello che mi ha colpito di più dei russi è la loro grande dedizione,
come se il teatro fosse l’unica scelta di vita possibile. Prima della caduta
del muro di Berlino, i genitori mandavano i propri figli a studiare
all’Accademia perché lì potevano stare al caldo e mangiare tutti i giorni.
L’arte era vista come un modo per riscattarsi dalla povertà; oggigiorno invece
tutti vogliono fare spettacolo, magari senza una vera e propria passione e con
il minimo di preparazione.
6. Qual è secondo te il livello di qualità di attori e
registi italiani?
Dipende dai casi, ma in generale non molto alta. Ritengo che
alcuni abbiano grande talento, come ad esempio Toni Servillo. L’Italia sta
diventando una specie di grande “fumettone”: in generale, penso che si debba
pensare meno alla produzione (soprattutto televisiva) e di più alla formazione.
Dovrebbe essere possibile poter studiare in ogni teatro. Ogni teatro dovrebbe
diventare il punto di incontro, di studio e di formazione di ciascun attore che
ne facesse richiesta. Solo così la qualità della recitazione e della regia in
Italia potrebbe crescere.
7. Quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Al momento mi hanno assegnato 100 ore di formazione a
ragazzi “difficili”, che hanno voluto smettere di studiare. Oltre a due/tre
materie di base, come matematica, italiano, ecc., gli viene insegnato un
mestiere – cuoco, elettricista, muratore, ma c’è spazio anche per il teatro.
Sono convinta che tra loro troverò qualche talento. Poi ho in mente di lavorare
anche con gli anziani. E naturalmente rifondare al meglio la mia nuova
compagnia, che si sta ricreando per la terza volta. Vorrei farla diventare come
una famiglia, sullo stampo delle compagnie teatrali del XVI e XVII secolo.
8. Che consiglio daresti ad un giovane che vuole fare
teatro?