Clet Abraham |
di Ilaria Gelichi
1. Ci parli un po’ di lei. Dato che è francese, come mai
ha scelto di risiedere proprio Firenze?
Non è stata una vera e propria scelta, diciamo piuttosto una
casualità. Sono passato prima per Roma e poi per Arezzo, dove attualmente vive
mio figlio. Volevo vivere in una città abbastanza grande ma che fosse anche
vicina a mio figlio e quindi la scelta è caduta su Firenze. Anche il quartiere
che ho scelto per il mio studio, S. Niccolò, è stata una scelta casuale. Ci sono
passato, mi ci sono sentito a mio agio ed ho deciso di rimanerci.
2. Com’è nata l’idea di modificare con degli stickers i
cartelli stradali?
Come tutte le idee, anche quella di modificare i cartelli
nasce da un percorso. Mi definisco principalmente come disegnatore e mi piace
comunicare attraverso il disegno. Il cartello è la sintesi della comunicazione,
visualmente è il simbolo per eccellenza. Ho voluto provare ad usare il
linguaggio dei cartelli e la stilistica è nata direttamente da essi; quindi
l’idea è nata dal cartello.
3. Quale messaggio vuole trasmettere con i suoi stickers?
Il messaggio è mettere in discussione il principio di
obbedienza. Non siamo qui per obbedire, altrimenti non avremmo il cervello. Non
sopporto chi dice “se ci sono delle regole bisogna rispettarle”: questo per me
non vuol dire nulla, significa non ragionare con la propria testa.
4. In
definitiva, cosa fa Clet? Può definirsi un artista militante?
Sì, in effetti. Clet come carattere è ribelle, ma anche un
po’ filosofo. Non fa solo stickers per i cartelli stradali, ma anche arte sotto
altre forme: la scultura, ad esempio. Cerco di fare altre cose per non
vincolarmi solo ai cartelli stradali. Fa tutto parte di un percorso filosofico
e di ricerca, su come far evolvere la società verso la libertà. Potrei
definirmi quindi anche un artista concettuale.
5. C’è differenza tra essere un artista a Firenze ed
esserlo in Francia? Quali sono le difficoltà?
Non c’è differenza tra lavorare a Firenze o in Francia.
Trovo che Firenze sia una città che dorme: forse ho riscosso tanto successo qui
proprio per questo motivo, c’è voglia di apertura e di cambiamento. L’idea dei
cartelli stradali è nata proprio a Firenze, che nonostante sia una città d’arte
e attenta al bello è invasa dai cartelli. Poi ho ampliato il mio “raggio di
azione” anche ad altre città italiane e, in qualche caso, all’estero. La
difficoltà è sicuramente che il mio lavoro non è riconosciuto come legale dalle
istituzioni. Vorrei riuscire ad ufficializzare l’illegalità.
6. Quali sono gli aspetti positivi e negativi del suo
lavoro? E quali sono i suoi obiettivi per il futuro?
L’obiettivo principale è cercare sempre nuove idee e non
rimanere legato solamente al cartello stradale. Il successo che ho avuto è
sicuramente una cosa positiva, perché mi ha portato finalmente una stabilità
economica e la possibilità di investire nel lavoro. Adesso viaggio molto e
posso costruire sculture anche piuttosto costose. Di aspetti negativi non ce ne
sono molti: uno è sicuramente l’invidia degli altri, ma sinceramente non mi
interessa. Poi c’è la paura che arrivi un giorno in cui non avrò più nulla da
dire, una specie di “blocco dello scrittore”. Sarebbe molto triste ritrovarmi
senza contenuto, è un’angoscia che sento in modo molto forte.
7. Se dovesse dare un consiglio ad un ragazzo giovane che
vuole diventare artista, cosa gli direbbe?
L’originalità per un artista è fondamentale. Sicuramente gli
consiglierei di non adeguarsi mai agli standard se non vengono sentiti come
propri, anche se ci si ritrova da soli contro tutti. Chi non molla alla fine
ottiene i migliori risultati. Ovviamente ci vuole anche un pizzico di coraggio,
quello sì.