martedì 10 maggio 2011

In Gunter Sachs memoriam (l'ultimo dei playboy)



Quando ho sentito la notizia, la prima reazione è stata: Gunter Sachs, chi era costui? Poi piano piano sono riaffiorati i ricordi di quegli anni che ho vissuto e che ho occultato. L'occultamento è il lavorìo della Storia. L'occultamento progredisce con il progredire della Storia. La memoria rende invece vivo ciò che la Storia oggettivizza.
E ripensando a quegli anni infatti ricordo una gran voglia di vita. Erano gli anni della Guerra fredda da una parte e gli anni dei Playboy dall'altra. Le donne avevano le fantasie da donne. Ogni donna aspirava ad essere una Cenerentola e trovare il suo Principe Azzurro. Ma poi è venuto l'avvento del femminismo e ha reso le donne senza più fantasie. Materialiste come gli uomini. Prive di fascinazione come un palestrato.

Ma allora le donne sognavano e anche gli uomini. Ed era lecito sognare, perché il mondo era più grande di ora.
Il playboy in quegli anni "freddi" era il sogno di un' evasione sconfinata. E era lo stesso per le donne e per gli uomini. Le donne volevano sognare di stare nelle braccia di un Principe che le estraniasse dalle loro magre esistenze di Cenerentole ante "scarpina" e gli uomini volevano tutti essere come quegli esseri divini che erano Gigi Rizzi, Roger Vadim, Gunter Sachs...Si giocava e si sognava in quegli anni spensierati. Gli uomini erano uomini e le donne donne. I playboy gente colta, raffinata magari ricchi ma uomini normali, no supermachi o palestrati pieni di stereodi e anabolizzanti, e neppure berlusconati dalla cultura televisiva che ha reso tali gli uomini di questo paese oggi: solo apparenti, con il Rolex, abbronzati e sempre all' Iphone o comunque sempre connessi. D'altronde le donne pur emancipandosi non hanno per nulla aumentato la loro femminilità ma la hanno intrappolata in un linguaggio osceno e superficiale fatto di gesti scurrili e mascolinizzanti (il modello femminile nuovo è forse quello della donna del famoso e disgustoso reality americano Jersey Shore - Sic!)

Il fascino allora non erano i muscoli, ma lo sguardo, l'intellettualità, la raffinatezza, l'esoticità, la passione, il sogno...la cultura, il gesto elegante e penetrante...
Questo erano quegli anni. Anni ben diversi, che erano forse vissuti all'impronta della "Dolce Vita", di cui adesso non rimane che il nome ed il senso si è completamente perso. Ma non era superficialità era invece profondità di una superficie apparente.
E Gunter se n'è andato. Giustamente. Come giustamente se ne va chi riconosce di non essere più nella Storia, ma occultato da quella e per sempre. E allora decide di andarsene perché qua, in quella parte della Storia che ti ha escluso per sempre, non c'è più posto. E il suicidio non è viltà. E' affermazione ultima del proprio diritto alla memoria di una vita che non c'è più.



Fabrizio Ulivieri