"Noi, emigranti e invisibili"
I ragazzi che lasciano l'Italia. Giovani, laureati, in fuga da un Paese che non gli piace, partono per scelta e non per necessità. Ecco i nuovi espatriati: nessun ministero li censisce, Repubblica.it ha raccolto le loro storie
di CLAUDIA CUCCHIARATO
"DATI non disponibili". Questa è la risposta che i ministeri degli Esteri e dell'Interno forniscono a chi cerca di descrivere la nuova emigrazione italiana. Non quella con la valigia di cartone che partiva nel secolo scorso alla ricerca di un lavoro in Germania, in Svizzera, in Belgio, negli Stati Uniti o in Argentina. Questi emigrati e i loro figli e nipoti sono censiti in modo sistematico dalle nostre istituzioni. I dati che mancano sono quelli riguardanti i nuovi migranti: ricercatori, professionisti, cervelli in fuga, ma non solo, che prendono un volo lowcost e si trasferiscono in Inghilterra, in Spagna o in Francia per inaugurare una nuova vita.
Alcuni saggi si sono recentemente occupati di questo fenomeno. Nel mio libro, Vivo altrove. Giovani e senza radici: gli emigranti italiani di oggi (Bruno Mondadori, 2010), ho cercato di mettere in luce le motivazioni di un aumento esponenziale della nuova emigrazione "nascosta" dall'Italia. Una tendenza all'espatrio dei neolaureati, in cerca di fortuna o di nuove esperienze, che si registra in quasi tutti i Paesi occidentali. Ma che da noi ha la peculiare caratteristica di essere esclusivamente a senso unico: i giovani altamente istruiti se ne vanno in massa dall'Italia, ma pochi sono i coetanei stranieri delle stesse caratteristiche che li vengono a sostituire, ancor meno quelli che dopo un lungo periodo all'estero trovano il coraggio di tornare.
Nessun libro può però fornire una stima di quanti siano attualmente gli italiani residenti all'estero. Non
esistono i dati e quindi è difficile far passare l'idea che il
fenomeno esista e sia preoccupante. L'unico strumento che può darci quest'informazione è l'anagrafe che li censisce: l'AIRE. Uno strumento dimostratosi inappropriato, per ammissione stessa dei Ministeri che lo curano: i dati che custodisce non coincidono mai con quelli delle città in cui tendenzialmente si trasferiscono i nostri giovani. I domiciliati italiani a Berlino, Londra, Parigi o Amsterdam risultano essere più del doppio rispetto ai censiti dall'AIRE.
È quindi alla necessità di dare un nome e una dimensione a questa generazione in fuga e "nascosta" che è nata l'iniziativa di Repubblica.it. Forse l'unico modo per sapere dove sono, cosa fanno e perché se ne vanno i giovani italiani è chiederlo a loro direttamente, attraverso i mezzi che utilizzano ogni giorno. E il successo dell'iniziativa, che in pochi giorni ha raccolto 25.000 interventi 1 di nuovi migranti, non fa che certificare l'urgenza di aggiornare gli strumenti a disposizione delle istituzioni per censire chi non vive più nel nostro Paese. Non a caso, oltre il 54% delle persone che si sono raccontate su Repubblica.it dichiara di non essersi mai iscritto all'AIRE. Molte ne ignorano l'esistenza o non vogliono registrarsi perché non sicure di rimanere a lungo nel primo luogo scelto per l'espatrio. Inutile aggiungere che un numero così alto di risposte è una miniera di dati, uno spaccato significativo, una rilevazione mai fatta prima.
Sono quasi tutti giovani tra i 25 e i 40 anni, laureati, in fuga da un Paese che non piace, figli di una società globale e liquida. Si adattano in fretta e se ne vanno per "scelta", non più per necessità e non solo per motivi professionali. Gli espatriati odierni, "lowcost" o "2.0", continuano ad osservare il Paese d'origine con attenzione. Non foraggiano l'economia italiana con le loro rimesse, come accadeva nel secolo scorso, ma sono una risorsa umana, professionale e sociale che il Paese si lascia sfuggire, senza dimostrare grande preoccupazione. Non a caso, la rivista americana Time ha dedicato loro un articolo di cinque pagine la settimana scorsa: "Arrivederci Italia" il titolo. Ma nessuna tv nostrana si è ancora interessata all'argomento. È questa l'Italia "fantasma" che fuori dall'Italia riesce ad affermarsi e ad avere successo, a diventare "qualcuno" agli occhi di una popolazione sconosciuta. Sarà per questo che non li si vuole prendere in considerazione? Perché hanno avuto ragione? E se tornassero?
Nel frattempo, il rapporto con il proprio paese d'origine è assai difficoltoso. Marcello ha raccontato che ci vogliono fino a sei mesi per ottenere l'iscrizione al consolato di Barcellona. Teresa ha spiegato che in media ce ne vogliono quattro per ottenere la conferma del cambiamento di residenza a Londra. La lentezza endemica con cui vengono aggiornati i pesanti e polverosi registri che si stipano nelle nostre sedi consolari scoraggerebbero chiunque volesse farsi rinnovare un documento. E nella capitale catalana è nata di recente anche un'associazione di italiani stremati dai lunghi tempi d'attesa: i devoti di San Sconsolato. È evidente che tutte queste persone non vedevano l'ora di poter raccontare la propria storia, le proprie motivazioni. Cercavano un'opportunità per essere ascoltate.
(Da "Repubblica" 22/10/2010)